Lei, a differenza di altri suoi compagni, che non dimentica di citare nelle sue testimonianze, è stata, a suo modo, fortunata.
Papà, ingegnere: a causa delle leggi razziali dovette intestare l’azienda da lui fondata (dopo aver perso il lavoro) a un’altra persona, non ebrea, fidata, in tempi in cui denunciare un ebreo significava guadagnarsi 5.000 lire, il costo di un appartamento. Mamma che ha cresciuto da sola tre figli mentre il marito era stato chiamato per la guerra d’Africa. Una famiglia, la loro, che ospitò una ragazza di Norimberga scappata dopo la notte dei cristalli: raccontò loro cosa stava accadendo in Germania. E loro seppero ascoltare attentamente anche le storie di ferrovieri che parlavano di treni da Roma, carichi di ebrei: senza acqua per il viaggio, i prigionieri facevano cadere dai vagoni dei foglietti nella speranza che qualcuno li raccogliesse e capisse cosa stesse succedendo.